Lo storico dell’arte è deceduto stanotte all’istituto dei Tumori di Milano.
Docente e saggista, ex assessore alla Cultura del Comune di Milano, aveva 71 anni. Con le sue trasmissioni televisive si era fatto apprezzare per lo stile asciutto e diretto grazie al quale sciorinava le sua competenze con fare divulgativo capace di arrivare a tutti. Perché l’arte e la cultura sono tali se riescono ad arrivare a tutti.
Fu tra gli estimatori della nostra Vibo Valentia, che visitò, apprezzandola, nel gennaio del 2014, quando venne in città ospite del Premio Internazionale Limen Arte, encomiabile e prestigiosa iniziativa che la Camera di Commercio sotto la guida di Michele Lico creò e portò avanti per alcuni anni (adesso che il Premio non si fa più rimangono le testimonianze delle opere esposte nella bella galleria del Valentianum, prestigiosa sede di una Camera di Commercio che qualcuno vorrebbe rubarci!).
Era l’11 gennaio, un sabato, e colsi l’occasione per una chiacchierata, ancor più che la classica intervista, con un così prestigioso critico d’arte. Philippe Daverio mi colse di sorpresa, quasi mi prese sottobraccio per una chiacchierata al limite del confidenziale partendo da un presupposto che non avrei immaginato, sebbene – da vibonese che ama la propria città – lo avessi sperato.
Sorprendentemente, apparve attratto dalle potenziali bellezze della nostra Vibo Valentia. E, da uomo di cultura che ha coltivato anche un’esperienza di amministratore (fu assessore alla Cultura della sua città, Milano) quello scambio di battute si trasformò in un’analisi che andò trasformandosi in una sorta di programma politico, un progetto da consegnare agli amministratori di una città che è ancora in cerca di una sua nuova identità. Oggi, che Philippe Daverio ci lascia, credo di bello ricordarlo così; soprattutto, sia utile a noi vibonesi ricordare come un personaggio di tale fattura, un intellettuale di riconosciuto valore si sia espresso parlando di Vibo Valentia “Questa città – disse allora Philippe Daverio – mantiene ancora materiali sufficienti da giocarsi sullo scacchiere mondiale”.

Già questa frase attirò la mia sorpresa. Cogliendola, Daverio iniziò a chiarire quasi comprendendo la triste rassegnazione dei tanti vibonesi che non hanno più fiducia in un futuro per questa città: “Non è vero che non è recuperabile! È una città che vive: ha una sua normalità, ma soprattutto ha un bagaglio del passato con una qualità molto forte e sulla quale bisogna cominciare a fare”. Fare? Cosa?
“Innanzitutto, una riflessione, ma non lunga: rapida – rispose – quindi, cominciare ad intervenire: a restaurare, a immaginare che il destino esista”. A quel punto, provai a strappare un giudizio, che da un critico d’arte ben noto per la severità dei suoi pareri, mi sembrava ancor più attendibile: “Il primo impatto è bizzarro – spiegò Daverio – la prima cosa che appare è il fascino del luogo: la città vecchia, soprattutto il castello sopra e l’infinito paesaggio intorno.
Il secondo approccio è sempre la riflessione: che ne facciamo? Che futuro dare a un passato? E che risposte dare a un presente quando si pone queste domande?”.
“Il futuro che io suggerisco – rispose direttamente alle domande da lui stesso poste – è di salvare tutto ciò, di salvare questa città così come tutta questa area del Mediterraneo”.
E qui parte la grande idea che politici ed amministratori nostrani dovrebbero cogliere ed utilizzare: “Chiedere alla Comunità Europea, che spreca soldi dappertutto – fu allora il suggerimento di Philippe Daverio – il più grande restauro mai fatto e lanciare un piano per questo territorio”.
“Credo che sia questa è l’unica via di sviluppo – conclude – diventare la California d’Europa, con un pregio in più: che comprende un passato formidabile, dei beni culturali straordinari, ma anche una catastrofe oggettiva, dovuta ad un disattenzione durata molto a lungo”.
Averlo conosciuto è stato un onore… che la terra ti sia lieve, Philippe Daverio.
Maurizio Bonanno