Mai nessuno ha dato tanto alla Vibonese come ha fatto lui. Melino Cosentino, il roccioso difensore, il capitano per antonomasia, ha il rossoblù del leone rampante tatuato nell’anima. I suoi baffoni e i capelli lunghi sono diventati il simbolo di un mondo calcistico che non c’è più. Quello di Tom De Pietri, per intenderci, dove la tattica era l’ultima cosa, per prima veniva il cuore, poi la tecnica e la gagliardìa. L’orgoglio di girare con la tuta con la scritta Vibonese per le vie del centro, dove anche il cielo e la terra tifavano.
Melino Cosentino incarna tutto questo: la passione e la storia. Dal 1965, dalla storica Berretti di Bruno Cappon, al 1991 in Promozione Categoria quando per un breve arco di tempo ricoprì il ruolo di allenatore. Ventisei anni con ben 602 presenze tra campionato e coppe, con 20 gol messi a segno.

Quando parla della sua Vibonese, gli occhi gli si fanno lucidi e l’emozione prende il sopravvento. Per un duro, un mastino che ringhiava agli avversari, sembra una cosa strana. Il suo esordio in prima squadra avviene nel 1967, era il 17 dicembre, a Barcellona Pozzo di Gotto contro l’Igea Virtus, partita persa 3-1, con Dante Lacorata in panchina, la Vibonese giocò quella gara con La Pietra, Cosentino, Fedele, Pogliani, Conti, Sgorbissa, Garreffa, Savani, Scarfò, Zanfi, Aquilano.
Indelebile resta la vittoria dello spareggio al termine del campionato di Promozione 1972-73 con Morrone e Paolana, così come l’autogestione di fine anni ottanta: Cosentino c’è sempre stato.
Il ricordo più bello? Il trionfo nello spareggio a tre per la Serie D del 1973-74

“Il ricordo più bello della mia carriera è la partita di spareggio con la Morrone, gol al novantesimo di Cittadino e lo stadio che esplode. Sugli spalti c’erano settemila persone, ma molto stavano già andando via e sentirono il boato al di fuori. E’ stata una vera apoteosi, una gioia infinita – ricorda Melino Cosentino -. Quanto tornammo a Vibo fu una grande festa”.
Ce ne sarebbero tanti di episodi da ricordare. E il Capitano potrebbe scriverne un libro. Classe 1949, 14 febbraio, Cosentino guadagnava 25 mila lire fino a un massimo di 290 mila (meno di 600-700 euro attuali). A diciassette anni ha l’occasione di approdare tra i professionisti. Lo cercano Modena, Mantova, Catanzaro e Crotone, ma lui dice no a tutti. Il legame con la famiglia, con la città con la maglia rossoblù era così forte ed insolubile da non ammettere altre scelte.

La più grande delusione? L’esclusione dalle gare con Crotone e Nardò
“Ho camminato e continuerò a camminare a testa alta – asserisce senza rimpianti Melino-. Sono orgoglioso di quanto ho fatto per la mia squadra, pochi altri possono vantare lo stesso sentimento. Ho vissuto la parte più bella della storia della Vibonese o almeno quella più romantica: da Cortese, grande capitano, a Rodolfi e Jacoboni. Ma il più grande resterà sempre De Pietri, è stato il mio secondo padre. Quanti ricordi, belli e brutti. Ad esempio un Vibonese- Nardò: io e Chiarella ci riscaldammo caricatissimi, ma Jacoboni ci spedì in panchina. E lo stesso avvenne la domenica successiva contro il Crotone: sono passati quarant’anni ma ancora non mi dò pace. Avrei dato un braccio per giocare quelle partite”.

Era il campionato 1983-84 e la Vibonese arrivò terza nel Girone I di Serie D alle spalle proprio di Crotone e Nardò. Due gare in cui il Luigi Razza era stracolmo di tifosi. Ben oltre la capienza di quei tempi (forse cinquemila tifosi).
“Erano tempo molto diversi – spiega Cosentino -. Era una altro calcio, la paura non esisteva. Ci spaccavamo, taglia sulla testa, tagli sulle gambe. Carlo Sposato ci ricuciva e tornavamo in campo fino alla fine. Quei tempi non torneranno più, adesso contano solo i soldi e se hai il procuratore giusto”.
Per il tifosi rossoblù rimane sempre il Capitano
La Vibonese di oggi? “Non ne voglio parlare per una mia scelta. Vado alla partita, faccio il tifo e basta. Ho sempre pensato che per quel che ho dato alla Vibonese alla fine avrei meritato un po’ più di considerazione. Ma non è un pensiero di oggi, di tanti anni fa. Mi sono sentito dimenticato quano dopo trent’anni di sacrifici compresi che non c’era più posto per me nella Vibonese”.
Per i tifosi, però, Melino Cosentino è rimasto il Capitano, un simbolo da stampare anche su una bandiera enorme da sventolare in curva. “Mi ha fatto tanto piacere e sarò per sempre grato agli ultras che mi hanno voluto fare questo grande omaggio. Forza Vibonese, sempre!”