VIBO VALENTIA – Si è tenuto il 23 maggio alle ore 17.00, presso il Convitto Filangeri, storica sede della Dante Alighieri, l’incontro organizzato dal Comitato di Vibo Valentia presieduto da Pippo Prestia. Il comitato, che da quest’anno annovera la presenza costante del presidente onorario Maria Liguori Baratteri, propone, come in ogni anno sociale, un programma interessante.
Ospite del pomeriggio Giuseppe Caridi, professore ordinario di storia moderna all’Università di Messina, e il suo volume, edito da Rubbettino nel 2024, “Il Cardinale Ruffo e la straordinaria avventura del 1799”.
Il gradevole pomeriggio è stato aperto dal presidente che ha tracciato la figura di Giuseppe Caridi, storico, docente universitario, presidente della Deputazione di Storia Patria, scrittore, tra i più stimati per le sue biografie e testi storici. Una introduzione al volume è stata curata da Gilberto Floriani, membro del direttivo del comitato. Quindi ampio spazio di dissertazione è stato lasciato al professor Giuseppe Caridi.
In apertura egli ha precisato che il suo volume rappresenta una oggettiva ricostruzione, alla quale è giunto attraverso documentazione diretta e indiretta, delle vicende occorse a questo importante personaggio.
*Chi era il Cardinale Ruffo*
Figlio di una delle più blasonate famiglie, i Ruffo, nacque a San Lucido il 16 settembre 1744. Come tutti i primogeniti dei cadetti ebbe per destino la vita monastica che gli diede lustro. Giunse, infatti, a ricoprire la carica di Tesoriere dello Stato della Chiesa e si mostrò capace di grandi riforme.
Le sue riforme abbracciarono soprattutto il campo economico e fiscale e se, da una parte, furono apprezzate dagli economisti dell’epoca, dall’altra, furono contrastate dai ceti dominanti.
La disapprovazione di questi ultimi gli valse la rimozione dalla carica di tesoriere.
*L’avventura del 1799*
La perdita della carica di tesoriere fu compensata dalla nomina a Cardinale. Egli svolse le sue funzioni, tra svariate e travagliate vicissitudini, sino alla nomina a vicario generale da parte di re Ferdinando VI. Il re, decaduto e rifugiato in Sicilia, incaricò il cardinale di far tornare all’obbedienza i sudditi per il ripristino del trono borbonico.
Una impresa nella quale il cardinale Ruffo crede e nella quale si avventura, non senza difficoltà: si rivelarono vane, infatti, le promesse di contingente, materiale bellico e danaro. I pochi uomini che riuscì a coinvolgere furono quelli provenienti dai feudi dei suoi familiari o dalle carceri. Uomini interessati in realtà a depredare più che alla restaurazione del regime.
Nella speranza di avvicinare i fedeli alla chiesa e con l’intento di mostrare che era per essa che si combatteva, egli modificò addirittura la sua insegna, aggiungendovi la croce. Nel suo percorso, che mai interruppe, per riportare sulla terra ferma il dominio dei Borbone, il numero degli adepti ebbe molteplici variazioni poiché a condurli non era un reale ideale.
*La clemenza del cardinale*
Durante l’intero periodo il cardinale Ruffo intrattenne corrispondenza con i sovrani e il ministro Acton, i quali, spesso, non condivisero il suo agire e la sua clemenza anche nei confronti dei rivoltosi. Finalmente rientrato a Napoli, questo suo agire non mutò. Anzi propose la stipula di un patto a favore dei repubblicani napoletani che avrebbe garantito loro di recarsi in Francia su una nave inglese e uscire indenni dal conflitto.
Il lavoro di diplomazia compiuto dal cardinale fu distrutto dall’ammiraglio Nelson, il quale pur facendoli salire a bordo, li consegnò al re che li condannò al patibolo.
Deluso ed amareggiato il cardinale, approfittando del conclave che in quel periodo si svolse a Venezia, rassegnò le dimissioni.
Il professor Caridi ci lascia con il cardinale Ruffo e le sue dimissioni, sebbene come ha affermato, ci sarebbero stati ancora decenni di cui scrivere.
Gli interventi, numerosi, succedutisi al termine dell’incontro hanno dato evidenza alla piacevolezza dello stesso e alla voglia di meglio comprendere la figura del cardinale Ruffo da parte degli intervenuti, numerosi.
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