Cultura

Le ricorrenze internazionali che celebrano una donna? Colpa di Cenerentola…

Uguaglianza di genere e formazione questi gli obiettivi di agenda 2030. Riflessioni sul modo di concepire le donne

“Che poi il principe azzurro ha scelto Cenerentola perché era la più bella”Non vorrei sfatare un mito, ma se il Principe Azzurro ha scelto Cenerentola e non le sue sorelle è perché lei faceva le pulizie.”
E’ questo il contenuto di una vignetta apparsa sul “sito dei link” che spiccava per leggerezza, tempo fa, tra le migliaia di articoli e post che narravano la storia di Giulia, la giovane donna uccisa dal suo ragazzo, una cenerentola moderna, innamorata dell’amore, delle seconde possibilità, paladina del dialogo anche quando tutto era già finito.
Perché a noi donne insegnano, tra favole, romanzi, cartoni e fiction a credere che l’amore, quello con la A maiuscola, c’è e che il “bello e dannato”, come nella Bella e la Bestia, potrà divenire il più dolce, affidabile e affabile dei principi. Come insegnano che esiste il principio di eguaglianza, che per qualche strano motivo non si applica a stipendi e compensi.
Dipende tutto da te, dalla tua volontà, dalla tua capacità, dalla tua pazienza: questo simpatico terzetto di parole da cui veniamo bombardate sin da piccole e che nessuno spiega mai sia globalmente sinonimo di “sottomissione”.

La verità edulcorata passa non solo attraverso racconti creati da uomini (e cartoni, con Walt Disney in capo), ma anche da donne: donne ancora giovani, professioniste, madri, che pur di non ammettere di “subire” e di essere ancora soggette a veti sociali tra i quali anche quelli economici, ti narrano una storia diversa acconsentendo così a tacere.
Sono le stesse donne al cinema, in prima fila, quelle che nel commentare con le amiche il recente film di Paola Cortellesi, con terrore, si rivedono e mentono a sé stesse raccontando che, per fortuna, non è più così. Le guardi osservare i volti intorno per scoprire un segno, perché hanno bisogno di un cenno che faccia capire che anche per le altre è così, per poter aggiungere, nella stessa chiacchierata, che le cose a volte capitano, che la vita è oramai frenetica, che in fondo le colpe sono da dividere, col proprio uomo, col proprio capo, con i colleghi.

Giustificazioni per gli uomini, giustificazioni per i figli, solo maschi. Perché le figlie e le nuore, invece, devono imparare che è questo il metro di misura che regola la vita e che si deve accettare questa serie di regole non scritte “per la civile convivenza”. In questa situazione la proverbiale solidarietà tra donne cessa e si trasforma in “se io subisco anche tu lo devi”.
Che il mondo, per le donne, con il passare del tempo sia cambiato è in fondo solo una grande menzogna.
Basti pensare che quello chiamiamo “amore”, e che ascriviamo tra i sentimenti, si è dovuto normare. Si perché, al mondo, per troppo amore si può morire.

Il delitto d’onore, sparito qualche decennio fa, ha solo cambiato nome: ora si chiama femminicidio o uxoricidio, e come in precedenza è un reato che prevede grande “ricchezza di attenuanti”, come del resto tutti gli altri reati in cui a soccombere è il genere femminile.
L’unico grande cambiamento sta nel fatto che “coscientemente” la violenza, prodromica di situazioni più gravi, si può denunziare ma utilizzando i termini precisi: minacce, coercizione, privazione arbitraria della libertà, violenza psicologica, fisica o sessuale, stupro, intimidazione, stolkeraggio. Un piccolo errore e, non importa cosa sia realmente accaduto, si rischia la controdenuncia.

E altrettanto coscientemente chi denuncia sa che dovrà accettare i rischi che ne derivano perché, nella maggior parte delle situazioni, nemmeno “Chi” dovrebbe può dare rassicurazioni.
Le statistiche ufficiali parlano chiaro. Muore per mano di un uomo, estraneo o familiare, una donna ogni due giorni, e tra queste vi sono anche parecchie di coloro che hanno denunciato. Così come le motivazioni di licenziamento sono di sovente senza appello. Ma di questa che è una vera e propria “mattanza”, fisica e sociale, siamo coscienti?

Qui la risposta è dubbia, poiché la velocità del rincorrersi degli avvenimenti genera un grande velo che copre immediatamente le informazioni col sopraggiungere di nuove.
Tutto viene filtrato e, nella confusione di social e media che postano titoloni per un giorno o due e poi cambiano radicalmente argomento portando altrove l’attenzione, il problema perde consistenza, la riflessione si sposta sul “tema del giorno”.
Così non ci si chiede perché ancora debbono esistere termini diversi per descrivere reati identici, perché per lo stesso reato sono comminate pene differenti in base al genere, perché alcuni termini della lingua italiana, come ricorda in un suo celere monologo proprio la Cortellesi, resi al femminile diventano offese.

Uguaglianza di genere?

Eppure la parola uguaglianza tanto sbandierata, ancor oggi vissuta come una conquista, c’è da sempre nella Costituzione. Forse perché nel tempo l’uomo non ha deciso, ma è stato “obbligato” a fare dei passi che dessero l’idea di equiparazione poiché in fondo in fondo questa cosa non va giù e a ben riflettere lo vediamo ogni giorno.
Una donna con cultura potrà andare a lavorare… continuando a fare ciò che “deve”, portando a casa uno stipendio, logicamente inferiore a quello di un pari uomo.
Una donna potrà guidare… per essere all’esigenza una preziosa accompagnatrice, recarsi al lavoro, portare i figli a svolgere le varie attività, fare la spesa e magari, con questa raggiunta autonomia, “portarsi” ad accudire genitori e suoceri.

Una donna che vota potrà dire la sua… sempre attenendosi ai dettami del partito, quale esso sia, in cui la maggioranza è formata da uomini e in cui essere quota rosa è un obbligo, un onere, indispensabile per la presentazione della lista. Ma vuoi mettere la grandiosità di questa “idea”.

E questa sorta di “premietti” ha fatto si che del problema di fondo si finisse per non parlare e che, soprattutto si smettesse di farsi domande.

E infatti c’è chi non se ne pone più, di corsa tra le mille attività quotidiane. E quando arriva il 23 febbraio, l’8 marzo o il 25 di novembre si troveranno sempre donne pronte a mettersi in fila per il prossimo flash mob, il prossimo corteo, la prossima manifestazione piena di scarpette rosse, che mescolano paradossalmente il ricordo della Shoah a quello della “mattanza delle donne”.
Pronte a pensare al profondo significato delle panchine rosse, che invece si è già perso insieme all’installazione di quelle gialle, viola, azzurre, enormi. E ci sarà sempre chi vi si siede per guardare il panorama. Quello stesso panorama che ha accompagnato centinaia di volte le parole dei principi azzurri, dei capi ufficio, dei colleghi.
Abbiamo finito di porci domande. Eppure dovremmo perché mentre tutti gli altri reati sono in calo, i femminicidi e lo stalkeraggio verso le donne aumenta paurosamente.

Per cui fateci e fatevi un favore. Smettetela di dare spettacolo nelle piazze e di legiferare su ciò che mai avrà attuazione, voi che rappresentate la nostra Nazione, piuttosto riunitevi nei luoghi dove decidere. Non servono nuove norme o voci in agenda, basterebbe siano realmente attuate le norme esistenti.