Vedere e gustare

Sama e Sant’Agata del Bianco due perle sul mar Jonio dove ebbero in natali Pitagora e Strati

Incastonata nella pelle dell’Aspromonte, proprio dove la grande montagna scivola verso il mar Jonio, sorge Samo, piccolo centro dell’oriente Calabro, ricco di storie, antichità, suggestioni e bellezze. Ad iniziare dal nome, derivato dalla famosa isola dell’Egeo, terra natale di Epicuro, i cui abitanti, secondo tradizione, sarebbero, nel VI secolo a.c., discesi verso le coste calabre, per sfuggire alla pressione dei Persiani. Sorto sulla costa, a ridosso della bellissima fiumara La Verde, dallo splendente greto argenteo, Samo, secondo una leggenda validata da studiosi del calibro di San Tommaso D’Aquino, Strabone e Michelangelo Macrì, pare abbia dato i natali al matematico e filosofo Pitagora, fondatore in Crotone dell’omonima scuola di formazione pedagogica, politica ed esoterica.

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Sotto pressione verosimilmente saracena, Samo venne trasferita, in epoca alto medievale, verso l’interno, precisamente sulla sommità del monte Palecastro, che significa vecchio accampamento, cima arroccata e praticamente inespugnabile, presso cui gli abitanti poterono vivere in sicurezza, ancorchè in una condizione di disagio logistico indicibile. Tuttavia, alla sicurezza militare non corrispose quella sismica. Attinta da vari terremoti, sin dal XIV secolo, Samo, divenuta intanto Precacore, dovette infine piegarsi e, dopo le devastazioni del 1783 e del 1908, subire lo spostamento nella vallata sottostante, dove ebbe a ritrovare, infine, anche il suo toponimo originario.

Della città medievale rimangono solo ruderi, cui si accede, dopo essere discesi vorticosamente a fondo valle ed aver attraversato una fiumarella grazie ad un bel ponte in pietra, da un aspro e ripido sentiero a raggiera, da cui si schiudono panorami mozzafiato. A mezza costa, incastonato nella roccia, ecco il santuario dedicato a San Giovanni Battista, patrono del paese ed oggetto di una devozione profonda, testimoniata dai magnifici bassorilievi che accompagnano la faticosa ascesa. In prossimità, l’antica chiesa dedicata al santo, con le bifore campanarie che ne coronano la sommità, nonché la chiesetta di San Sebastiano, al cui interno si conservano tracce, purtroppo gravemente erose, di un affresco di verosimile epoca tardo normanna, che sembra raffigurare Maria. Per il resto, mura dirute che, dalla loro sommità, guardano l’immensità del mar Jonio e la distesa sorprendente e luminosa della fiumara La Verde.

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Lasciata Samo, con la sua bella piazzetta, i murales e le didascalie in lingua italiana ed ellefona, si raggiunge il vicino paese di Sant’Agata del Bianco, anch’esso arroccato su un balcone che guarda, incantato, allo Jonio ed alla fiumara. Sorta quale rifugio dei Precacoresi, attinti da un sisma del 1349, Sant’Agata si fregia di essere stata la patria del grande scrittore Saverio Strati, autore di romanzi e novelle di grande rilievo, citati sul prospetto della casa natale, insieme al ritratto realizzato da artisti di strada. Ma quel che colpisce in questo piccolo avamposto aspromontano è il recupero intelligente del centro storico, dovuto ad una attenzione artistica che ha trovato forma in decine di murales perfettamente dimensionati ed in una teoria di sculture in ferro, che hanno coniugato con grazie ed armonia le viuzze, le piccole case e gli orti che le adornano. Il risultato sono evocazioni di vario segno, dal diritto dei bambini alla felicità, al racconto di Dante Alighieri nel settimo centenario dalla morte, dal richiamo a misteriose leggende locali, al racconto memoriale di poeti, cineasti, cantautori, scrittori.

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Infine, appena fuori dal centro abitato, Sant’Agata ci regala l’incontro straordinario con un artista del luogo, Vincenzo Baldissarro, autore di un’impresa artistica che non è esagerato definire epica: ricavare da un enorme monolite, incluso in un magnifico contesto bucolico, le forme del mito, della fede, dell’amore e della sapienza agreste. E così, ecco emergere dalla roccia informe due sirene intente al riposo, dopo aver guerreggiato con la divinità degli inferi, oppure la testa affaticata di Poseidone, il furtivo abbraccio liberatorio di due innamorati, il volto delicato di un cavallo, per finire, all’interno di una grotta, con il racconto commosso della natività.

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Un complesso scultoreo di grande suggestione e pregio, che richiederà anni di durissimo lavoro e collocherà Sant’Agata, grazie a questo straordinario ambasciatore del territorio, al centro della storia artistica del nostro Paese. La discesa verso il ritorno è un omaggio alla bellezza dello Jonio, ai suoi panorami mozzafiato, agli incroci che la strada favorisce, dall’immensa Pietra Cappa, al magnifico monte Tre Pizzi, dai mirabili mosaici della villa romana di Casignana, alle propaggini di Gerace, seduta imperiosa nel suo altare aspromontano. Rimane, infine, un senso di gratitudine verso queste due piccole comunità, Samo e Sant’Agata del Bianco, accomunate dalla lontananza, dagli istanti di storia condivisa e dalla capacità di regalare, con linguaggi e prospettive diverse, squarci di suggestione ed impareggiabile bellezza.

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