Cultura

12 aprile 1943: racconto dei bombardamenti a Vibo Marina e le 10 vittime in un asilo

Un raid aereo oltre a provocare gravi danni alle strutture portuali colpì anche un asilo dove morirono 9 bambini e una maestra.

ViboSport intende ricordare con commozione le giovanissime vittime e le maestre della strage di Vibo Marina del 12 aprile 1943. Quel giorno, le bombe sganciate dagli aeri anglo-americani in un raid sopra il piccolo centro marittimo e il suo porto colpirono un asilo uccidendo 10 persone per lo più bambini. I loro nomi oggi sono impressi su una targa a ricordo di quel tragico evento:

Corso Annunziata (7 anni), De Lorenzo Lucia (11 anni), De Lorenzo Rosaria (5 anni), Lenza Giovanna (14), Sacco Teresa (23), Romano Mariantonia (33), Neri Nicolina, Neri Vincenzo, Neri Anna, Neri Franca (fratelli di 10, 7, 3 anni, l’ultima aveva appena sette mesi, morti insieme alla madre Mariantonia Romano. Commemorarli significa tramandare la memoria ai posteri e oggi in un momento così difficile significa ricordare ancora una volta gli orrori della guerra e tutte le vittime specialmente quelle giovanissime.

La morte di giovani innocenti sia per tutti seme di pace” è quanto scritto sulla lapide in marmo che nel 1993, in occasione del cinquantennio, i cittadini vollero porre sul muro della Scuola elementare “Presterà” a ricordo delle giovani vite stroncate nell’adiacente odierna pinetina, un tempo il campo sportivo di Vibo Marina.

Per ricorda quella giornata vi proponiamo la testimonianza (tratta da comuneportosantavenerre.blogspot.com) del dott. Domenico Satriani, medico di grandi doti umane e culturali, scomparso nel 1996.

La pace frantumata come un vaso di coccio sotto un colpo di pietra

“La guerra, la guerra. E’ stato un brutto giorno quel 12 aprile del lontano 1943 per la borgata di Vibo Marina e la sua piccola popolazione che, numericamente, all’epoca non raggiungeva le cinquecento anime, a parte la presenza dei militari. La pace di quella comunità fu in quel giorno frantumata, come un vaso di coccio sotto un colpo di pietra.
Ebbe luogo, infatti, improvvisamente, un tremendo bombardamento aereo che colpì il centro del piccolo paese oltre che la piazza, oggi non più esistente, frequentata da noi ragazzi per i nostri giochi.
Si era in guerra in quell’epoca ed una delle forze belligeranti era proprio l’Italia con il suo impero coloniale. Molte città del nord e del sud erano state colpite dalle bombe, ma non si pensava che anche Vibo Marina potesse diventare obbiettivo e teatro di guerra. Purtroppo ciò accadde con rovine, devastazioni e tanto sangue. In quella tragica occasione ricordo che grande fu l’impegno, il coraggio, la dedizione manifestata da don Domenico Costa, allora parroco di Vibo Marina.
Ma, prima di citare l’episodio drammatico cui fui testimone, ritengo utile tracciare un breve “escursus” sui fatti del periodo storico da me e da altri vissuto.
Si era in guerra, ripeto, ed è risaputo che ogni guerra è portatrice di rovine e di morte.
Ma noi abitanti di un piccolo paese non eravamo assolutamente preparati al peggio.
Un piccolo centro, un piccolo porto – si pensava – non sarebbero stati certamente oggetto di attenzione da parte dei bombardieri americani e inglesi. Fu un errore.
In verità c’erano stati diversi segnali premonitori in periodi precedenti. Saltuariamente infatti dalla fine del 1942 in poi, saltuariamente e sempre di notte, ci furono diversi mitragliamenti compiuti da aerei su navi ormeggiate nel porto. Ci eravamo quasi abituati a sentire quel crepitio notturno di breve durata che si sommava al crepitio delle mitragliatrici italiane e tedesche che rispondevano al fuoco.
Ricordo anche i traccianti luminosi sulle direttrici di tiro che si intrecciavano e che ci facevano pensare ai fuochi d’artificio che si sparavano, anche allora,in agosto, in occasione della festa della Madonna.
Sempre di notte, inoltre,puntualmente, ogni sera, sentivamo il rombo di un ricognitore. Anche a questo eravamo abituati. Esso si presentava per lo più alle ore 21. I ferrovieri l’avevano chiamato “il guardialinee” poiché nella sua rotta era privilegiato il tracciato ferroviario.
Si preparava intanto il terreno per la devastante e insanguinata giornata di quel 12 aprile.
Mi è rimasto ben saldo nella memoria il ricordo agghiacciante di quel pomeriggio, quando io, adolescente studente del III ginnasiale, alle ore 17 e 55 precise sentii un sibilo assordante, intenso, infernale,improvviso, indescrivibile.
Sembrava che un cataclisma si stesse rovesciando su di noi. E cataclisma fu.
Dopo il sibilo agghiacciante che ebbe la durata di diversi secondi che non finivano mai, ci fu un immenso boato e mi ritrovai avvolto da una coltre di polvere sempre più fitta, sempre più nera..
Mi precipitai di corsa per le scale in gran parte divelte per raggiungere la strada.
Pervenuto all’aperto ebbi con immediatezza l’impressione di non trovarmi più nella tranquilla Vibo Marina ma in un mondo da apocalisse. Di fronte a me non esisteva più niente di quanto conoscevo. Le case intorno erano tutte ridotte a macerie fumanti che ostruivano le strade ed una nube fitta incombeva sul paese. Si sentivano tante urla di terrore e di dolore. Figli che chiamavano le madri, madri che chiamavano i figli, e tante voci di disperazione.
Io come inebetito camminavo cercando di orizzontarmi tra quelli case non più esistenti, su quelle strade cosparse di macerie, di buche profonde e fumanti, sotto un cielo reso invisibile dalla polvere.
Nel polverone ad un tratto vidi un’ombra umana. Essa proveniva dalla strada che si diparte dalla piazzetta della Chiesa che dal punto in cui mi trovavo era distante circa 50 metri. Quest’ombra procedeva a grandi falcate e quando mi fu prossima mi accorsi che era un prete.
Ero rimasto fermo in attesa che quella figura fosse riconoscibile. Anche io cercavo qualcuno. In pochi istanti quell’ombra che correva si fece sempre più distinta.

Quando fummo vicini riconobbi in quell’ombra il Parroco di Vibo Marina: don Domenico Costa, impolverato da cima a fondo, come me d’altra parte.
Mi conosceva molto bene don Domenico Costa anche perché nel 1937 mi ero cresimato ed era stato mio padrino.
Io, impaurito, sconvolto, ma non tanto da perdere la cognizione di quella drammatica improvvisa realtà, mi rivolsi a lui dicendo: “Compare, c’è stato forse un terremoto?”.
“Figlio” mi rispose “salvati se puoi, è successo forse molto di più.”
“Compare ma dove andate?”
“Figlio” mi ripetè” cerca di salvarti. Io vado a fare il mio dovere. Ci sono certamente tanti morti e tante anime a cui dare l’Estrema Unzione”
E riprese la sua corsa, a grandi falcate, con quella sua veste nera imbiancata, con la stola viola svolazzante verso la morte, verso il dolore di tanti suoi parrocchiani.
Dopo qualche istante l’ombra di don Domenico Costa scomparve ai miei occhi inghiottita dal gran polverone. In quell’occasione, quel 12 aprile del ’43 i morti furono tanti, quasi tutti giovani e bambini, i feriti molti di più.”