Cultura

Il 9 gennaio 1893 nasceva Sacerdote, il magistrato che non si piegò al nazismo

Nato a Vibo Valentia, che allora si chiamava ancora Monteleone, morì nal campo di concentramento tedesco di Bergen Belsen nel 1945.

“Bolzano 14/XII/1944. Carissime, lascio oggi Bolzano e parto per la mia nuova residenza. Di salute sto benissimo, vi ho in cuore con me; non posso scrivere di più; cari baci mie adorate -; tutti i miei baci. Emilio”. Queste poche righe, vergate con grafia malferma e intrisa di dolore, sono le ultime pervenute alla moglie e alla figlia di Emilio Sacerdote, ex magistrato, ex avvocato, ebreo. Poche parole, ma chiare, come di chi non immagina che il peggio deve ancora arrivare.

NATO DA FAMIGLIA EBREA. Nato a Vibo Valentia il 9 gennaio 1893, figlio di Lazzaro e Virginia Pugliese. Laureato in Giurisprudenza, dopo aver partecipato alla Prima Guerra mondiale come ufficiale di collegamento col grado di capitano, viene nominato magistrato come sostituto procuratore del Re, incarico che svolge a Treviso, Udine, Biella, Alessandria. A Milano nel 1938, insultato come ebreo in una pubblica udienza, si dimette da procuratore dopo ben 19 anni di onorata carriera. Decide di svolgere la professione di avvocato penalista ed apre uno studio nella città meneghina. Un’attività destinata a durare un breve lasso di tempo, la deriva antisemita in Italia e le leggi razziali lo colpiscono duramente. Appena sei mesi dopo, Emilio Sacerdote è costretto a sospendere l’ attività e a chiudere lo studio. Nel 1940, per effetto delle leggi razziali viene cancellato addirittura dall’Albo degli avvocati.

L’ABBANDONO DELLA TOGA PER UN INSULTO. Lo scoppio della seconda guerra mondiale lo coglie in una posizione di perseguitato razziale che diviene drammatica con l’occupazione tedesca del centro nord dell’Italia. Quando i nazifascisti iniziano la caccia agli ebrei, Emilio non fugge in Svizzera, ma decide di lottare e, dopo l’armistizio del 8 settembre 1943, entra nella formazione autonoma partigiana della Valle di Viù, vicino Torino, con il nome di battaglia di “Dote”. Anche la moglie Marina Traversi e la figlia Consolina, nata a Torino nel 1919, lo seguono nella Resistenza, come staffette partigiane.
Per la sua alta formazione giuridica viene nominato presidente del locale Tribunale partigiano e capo di Stato maggiore. Incarichi che mantiene anche quando passa alla XIX Brigata Garibaldi e poi alla IV divisione Giustizia e libertà.

ARRESTO E DEPORTAZIONE. Il 30 settembre 1944 viene arrestato, a seguito di una delazione, dai fascisti a Lemie e rinchiuso alle Carceri Nuove di Torino. E’ una delazione a farlo scoprire. La sua condizione di ebreo viene nel frattempo scoperta sempre per denuncia dello stesso delatore, pertanto viene destinato al campo di Gries a Bolzano.
Da alcune lettere clandestine che riesce a scambiare con i suoi familiari grazie all’aiuto di un autista della Lancia emerge l’aggravarsi della sua situazione a Bolzano: “Soffro moralmente tanto, tanto, tanto come non potete immaginare, e patisco anche la fame, proprio così, la fame”. Ed ancora in una lettera dell’8 dicembre 1944, pochi giorni prima del trasferimento in Germania, scrive: “Egr. sig. Tommaso, non so dirle il piacere che ho provato l’altro ieri nel vederla e nel parlarle: come ha visto, son ridotto in ben triste stato. Le sono tanto riconoscente, ma proprio tanto, per l’assistenza che Ella mi dà: ieri ho avuto il pacco contenente anche i due medicinali, continui e mi fa un’opera santa. Da parecchio non ho più lettere dai miei cari e sono molto inquieto anche per ciò: faccia sapere loro che ho necessità di ricevere loro scritti: li preghi di scrivermi: qui possono scrivermi due volte al mese soltanto, ma sarei già contento di ricevere notizie due volte al mese. Continui ad assistermi…”.

La lettera di Emilio Sacerdote a mogle e figlia del 1944

DEPORTAZIONE E MORTE NEL LAGER. Il 14 dicembre 1944 viene fatto salire sul convoglio dela morte n. 20 che da Bolzano lo conduce a Flossenburg, dove arriva sei giorni dopo. Sacerdote forse ancora non immagina in quale ulteriore inferno di disperazione e dolore viene destinato. Nel marzo dell’anno successivo, ad uno sputo dalla liberazione, viene spedito al lager di Bergen Belsen, qui il suo cammino non si incrocia per poco con quello di Anna Frank, deportata nello stesso campo e morta qualche giorno prima del suo arrivo. Il nome di Sacerdote è riportato in una Transportliste dell’8 marzo 1945, un documento, che porta chiara l’indicazione “it. Jude” (italiano Ebreo), e che resta l’ultima traccia di vita che si ha di lui.
La morte per Emilio Sacerdote arriva per gli stenti e le sevizie subite, forse il 19 marzo 1945, come riportato in un documento del Centro di documentazione ebraica, forse subito dopo la liberazione del campo. Le sue condizioni, comunque, appaiono a dir poco precarie già in una fotografia del febbraio precedente a Flossenburg, scattata dagli aguzzini per “il loro divertimento…”, ritrovata dagli americani e fatta pervenire alla famiglia, dopo il riconoscimento dell’”avvocato Sacerdote” quale vittima immortalata dal fotografo da parte di uno dei pochi superstiti.

L’ultima foto di Emilio Sacedote tra i suoi aguzzini

LA FINE DELLA GUERRA. Quando gli inglesi e i canadesi della 11.ma Divisione Corazzata fanno il loro ingresso a Bergen Belsen è il 15 aprile 1945, lo scenario che si presenta è apocalittico: vi sono stipati oltre 60 mila prigionieri, gran parte dei quali moribondi o in pessime condizioni di salute e, accatastati dentro e fuori del campo, migliaia di corpi insepolti. Le strutture del lager vengono bruciate con il lanciafiamme per combattere l’epidemia di tifo e l’infestazione da pidocchi. Servono oltre due mesi per riportare la situazione sotto controllo, ed in questo periodo muoiono oltre 13.000 ex-prigionieri. Tra questi o tra i mucchi dei cadaveri c’è sicuramente anche Emilio Sacerdote, il magistrato e l’avvocato che non si è piegato ai nazisti e che con la testa alta ha combattuto per la giustizia e per la libertà.
In una lettera del 17 luglio 1945, firmata Sergio Piperno, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, arriva la conferma che di lui si è persa ogni traccia, anche se si invita la madre a non disperare. Ma come sappiamo oggi, Sacerdote non è tra i sopravvissuti e non tornerà più dalla moglie e dall’unica figlia.

UNA TARGA IN TRIBUNALE. Il 19 maggio 2011 la sua città natale si ricorda di lui e gli viene intitolata l’aula grande delle udienze del Palazzo di Giustizia, con l’affissione di una targa che lo ricorda. Di recente gli è stata anche intestata una via della città.