Una ricostruzione storica e cronologica ricolloca la data dell’episodio di cui è protagonista l’eroina vibonese, svoltosi durante il matrimonio di Ludovico Abenavoli con Maddalena, figlia del barone di Lavello.
Nel 1502, dopo essere stato feudo dei Brancaccio, Monteleone (Vibo Valentia) torna ad essere città demaniale, condizione in cui durerà pochissimo. Sei anni dopo Ettore Pignatelli, sulla base di documenti contestati dai nobili di Monteleone, fa occupare la città dalle sue milizie. Il conte asserisce di averla acquistata in feudo nel 1501 dal defunto re Federico, per 15.200 ducati, ma di non essersi mai recato per prenderne possesso per alterne vicende storiche, aggiungendo che il detto Privilegio gli fosse stato confermato da re Ferdinando III, divenuto nel frattempo re di Napoli, nel 1506.
Pignatelli affida il compito di prendere la città a Giovanni del Tufo, uditore del Re e Barone di Lavello, il quale attraversa le mura di Monteleone a capo di un drappello di sgherri e, tra le ostilità dei cittadini, si impossessa del castello. Dal maniero federiciano il del Tufo, trascorsa una settimana, nel corso della quale si adopera ad assoldare mercenari, siamo ad agosto o settembre del 1508), convoca i capi della rivolta con il pretesto di trattare, ma affoga il loro urlo di libertà nel sangue.
“Quando l’alba con le sue dita di rose cominciava a colorare le volte oscure del cielo, apparvero agli sguardi dell’atterrita città i sette cadaveri degli infelici monteleonesi che penzolavano e facean mostra sanguinosa di se dai merli del castello”, scrive Giovan Battista Marzano: “Giovanni e Ortensio Recco, Giambattista Capialbi, Domenico Milana, Francesco d’Alessandria, Sante Noplari e Tolomeo Ramolo, furono uccisi dal perfido impostore ed esposti a monito dei ribelli che erano rimasti speranzosi ad attendere una buona notizia.
Da quella tragica notte un cavallo bianco fantasma, narra la leggenda, imbizzarrito e scalpitante,inizia a galopppare per le vie principali della città nitrendo e facendo gran rumore con gli zoccoli. Il destriero chiede vendetta per i sette uomini uccisi in così tragico modo.
All’alba di un bel giorno il destriero smette all’improvviso di scalpitare per le vie di Monteleone. Cosa è successo?
Diana Recco, figlia e sorella di due dei sette martiri, decide di compiere la vendetta tanto attesa. Da piccola non aveva potuto farlo, ma adesso ha la forza e la ferma determinazione al compimento dell’ineluttabile fato. Nella primavera di un bel giorno di inizio cinquecento, la giovane alta, snella, capelli lunghi ricci e neri, in sella a un cavallo bianco parte per recarsi a Lavello, dove Giovanni del Tufo risiede. Nel centro lucano sono in programma le nozze della figlia del barone, Maddalena, con Ludovico Abenavoli.
Abenavoli, non è uno qualunque, primogenito di Troilo, generale degli Aragonesi, e di Caterina Caracciolo, era nato tra il 1470 e il 1477 forse a Terni o a Teano. Nel 1503 aveva partecipato alla disfida del 13 febbraio contro i francesi a Barletta, ragione della sua fama presso i posteri. Fuggito da Terni dopo avere visto la sua fidanzata Biancofiore in braccio a un altro, aveva successivamente sposato Letizia Asprella (1507 circa), appartenente ad una famiglia nobile di Sessa, e adesso in seconde nozze è pronto ad impalmare Maddalena del Tufo.
Seguendo la cronologia dei fatti e le date ormai storicizzate, possiamo affermare con ragionevole certezza che le nozze vengono celebrate nel 1519 ed è allora che si compie la vendetta di Diana. Infatti, si hanno notizie certe che in quell’anno avviene la morte di Giovanni del Tufo e che, secondo le fonti ufficiali, il figlio Giacomo gli succede nella baronia di Lavello. Secondo le stesse fonti ci sono notizie incontestabili che Giovanni del Tufo sia ancora vivo nel 1518, anno in cui in molti ritengono che la nostra eroina lo uccida. Per cui se è vera storia che Diana assassina il barone durante le nozze, lo fa di sicuro l’anno seguente.
Siamo, dunque, nell’anno del Signore 1519 quando Diana Recco arriva a Lavello dopo oltre dieci giorni di viaggio non privo di ostacoli e di insidie. Le nozze, visto il rango degli sposi, vengono celebrate nella cattedrale di San Mauro dal vescovo Pietro Prisco Guglielmucci. Nella chiesa c’è una gran folla di invitati, fuori viene allestito il banchetto con grande abbondanza. Al termine della cerimonia, Diana, vestita di blu e come si conviene, si avvicina a Giovanni del Tufo apparentemente per un saluto di cerimonia e lo accoltella al cuore. La vendetta è compiuta! Approfittando della confusione, Diana fugge e di lei non si sa più nulla. Forse viene accolta in qualche convento, come avviene spesso in quegli anni, specie dopo fatti di sangue.

La nemesi è compiuta! Il cavallo bianco scompare da Monteleone, ma per la corte del Castello ancora oggi, a detta di alcuni, vagherebbe il fantasma di Diana a cavallo. La visione della cavallerizza apparirebbe e scomparirebbe nei pressi del pozzo posto al centro del maniero. Tra storia e leggenda Diana rappresenta l’esempio di una eroina che ha dato tutto pèer ottenere giustizia
IL PALIO PEDUTO. Oltre venti anni fa a Vibo Valentia era stato istituito un Palio ispirato alla leggenda di Diana. Nella ricorrenza del cinquecentenario sarebbe stato il caso di ripensare al ripristino di una manifestazione bella e sentita, capace di far rivivere una pagina epica della storia di Monteleone. Ma questa ricorrenza è passata da due anni e nessuno se ne è ricordato, una città senza memoria non può avere futuro.
FOTO IN COPERTINA: L’illustrazione “Diana, sogno di una vendetta” è un dipinto a olio della pittrice Gerlanda Di Francia