Cultura

San Leoluca, da Corleone a Monteleone: Vibo Valentia in festa per il patrono

Il corpo del santo patrono di Vibo Valentia, nonostante le ricerche, non è mai stato trovato. La presunta tomba con i resti si troverebbe nella chiesa di Santa Ruba a San Gregorio d’Ippona.

Il santo patrono della città di Vibo Valentia viene solennemente festeggiato il 1° marzo. Da qualche anno la manifestazione Comunitarium aveva preso il posto del Premio della Testimonianza ideato da Mons. Brindisi (di cui parliamo in altro articolo, ndr) e consegnato durante la festa del patrono a personalità di tutto il mondo che si sono distinte per il loro impegno nel sociale e religioso. E’ stata la comunità di Tropea, a rappresentare i paesi della provincia vibonese, in occasione del “Comunitarium” 2019, l’ultimo celebrato prima dell’arrivo del covid.

Fino agli anni settanta per le vie della città si svolgeva una solenne processione della statua argentea del santo (rubata e mai ritrovata nel 1975), durata fino al 1973, quando mons. Brindisi volle celebrare il santo con il Premio della Testimonianza.

Quest’anno, ancora in tempo di Covid, dopo la solenne santa messa delle 10,30, si svolgerà soltanto la tradizionale apposizione del mazzo di fiori da parte dei Vigili del Fuoco del comando provinciale di Vibo Valentia che (a mezzogiorno), con l’ausilio di un autoscala, raggiungeranno la statuta bronze posta in cima al Valentianum per rendere omaggio al santo.

La vita di San Leoluca, tra leggenda e storia

San Leoluca nacque a Corleone, in Sicilia, nell’815 circa. Al battesimo, i genitori Leone e Teotiste gli imposero il nome di Leone.  Cresciuto in seno ad una agiata famiglia, ricevette una buona formazione religiosa e civile. Rimasto orfano giovinetto, Leone dovette dedicarsi alla gestione del suo patrimonio e alla sorveglianza dei suoi armenti. Nella solitudine dei campi e nella contemplazione della natura, sentì la chiamata del Signore. A venti anni, si  narra che Leone vendette tutti i suoi averi, distribuendo il ricavato ai poveri. Quindi lasciò Corleone e si ritirò nel monastero basiliano di San Filippo d’Agira (Enna), dove ricevette la prima tonsura da un anziano monaco e il consiglio di emigrare in Calabria a causa della violente incursioni dei Saraceni in Sicilia. Raggiunta la Calabria, Leone incontrò una pia donna, alla quale manifestò le tribolazioni del suo animo e ricevette consiglio di abbracciare la vita monastica cenobitica. Fu accolto da fra Cristoforo nel monastero di Vena vicino Monteleone (odierna Vibo Valentia). Qui condusse una vita esemplare ed austera, fatta di umiltà e di obbedienza. Designato igumeno del monastero di Vena dallo stesso frà Cristoforo morente, ebbe doti taumaturgiche (guarì un lebbroso, dei paralitici e degli indemoniati). In punto di morte designò suoi successori Teodoro ed Eutimio, suoi discepoli. Nel monastero di Vena, morì all’età di cento anni nel 915 dopo ottanta anni di vita monastica. Il suo corpo fu traslato, in seguito, nella vicina Monteleone (Vibo Valentia), e sepolto nella antica chiesa di Santa Maria Maggiore, che poi sarebbe stata demolita e ricostruita, ed oogi è intitolata anche a san Leoluca.

l mistero. Il corpo di San Leoluca, nonostante le ricerche, non è stato mai ritrovato. Studi recenti hanno portato alla luce la presunta tomba con i resti del santo che si troverebbe nella chiesa di Santa Ruba a San Gregorio di Ippona, che fino al 1925 era un casale, frazione, di Monteleone. Per cui, in ogni caso, sarebbe confermata la tesi che vuole che il corpo del cenobite corleonese sia stato seppellito nella città che, assieme a quella natale, lo ha eletto a suo protettore.