Alle falde della grande montagna calabrese ci sono due piccoli tesori, tutti da scoprire
ASPROMONTE – Alle falde della grande montagna dell’Aspromonte, nel suo versante nord-ovest, quello che guarda ai profumi del Tirreno, si nascondono due piccole gemme.
Si tratta di Oppido Mamertina e della frazione Triselico, già comune autonomo fino al 1929. Perché meritano di essere raccontati? Perché molte cose hanno da dire e molte cose hanno ancora da rivelare. Tre su tutte.
La prima. Oppido Mamertina è l’ennesima vittima del ‘flagello’ del 5 febbraio 1873, il terribile terremoto che rovistò dalle fondamenta la civiltà calabra.
Quella che oggi vediamo è l’Oppido ottocentesca e novecentesca dovuta alla “penna” degli ingegneri napoletani Antonio Winspeare e Francesco La Vega che la vollero, secondo uno stile diffuso nel processo di ricostruzione (vedi la nuova Mileto o la nuova Filadelfia), geometrica, con strade parallele, incrociate ortogonalmente e grandi piazze quadrilatere. In essa, nonostante l’inevitabile modernismo delle forme, si stagliano splendidi monumenti, soprattutto religiosi, che rendono questo luogo differente.

La Cattedrale dedicata all’Assunta, gemellata con la cattedrale dell’Annunciazione di Gerusalemme, in cui risuona un armonioso, molto accurato e mai eccedente stile neoclassico. E poi, la chiesa dell’Abbazia, in vago stile anglosassone, così detta perché, sin dal sedicesimo secolo, retta da un canonico denominato Abate. E la chiesa di San Giuseppe, nella cui cripta, un’autentica attrazione, veniva praticata l’essiccazione dei cadaveri, attraverso il c.d. ‘putridarium’.
Ed ancora, oltre il museo d’arte contadina, il museo diocesano, con le testimonianze della millenaria storia vescovile della città ed un reperto che merita, da solo, una visita, la statua di San Sebastiano di Benedetto da Maiano.
Poi, al cospetto della Cattedrale, contornata da delicati palazzi gentilizi, la bellissima piazza F.M. Zuco, uno spazio ricercato di armonia plastica, che rende merito alla ‘grandeure’ che attinse la città nel suo massimo fulgore.
Il castello con le sue mura possenti testimone di una storia antica

La seconda Oppido fu città dai mille volti e dai mille tempi: Romana, Bruzia e forse Osca prima, testimoniata da una zona che si chiama “Mella”; Bizantina e Medievale poi, in quella che oggi viene denominata Oppido Vecchia. Moderna infine, nel luogo della ricostruzione attuale.
E’ impossibile dare conto della Oppido Romana e Bruzia, giacchè le vestigia non sempre sono visitabili. E’ invece illuminante trattare Oppido Vecchia, che con i suoi prolungati reperti, il reliquario di case, chiese e conventi sfasciati dal terremoto, i resti vibranti e sontuosi dell’antico castello, dà il senso di un luogo che dovette essere importante ed imponente.
Il castello, in particolare, presenta ancora possenti mura e contrafforti, i torrioni, le merlature ed evidenzia come esso abbia attraversato così il tardo periodo bizantino, come quello normanno e, a seguire, quello angiono ed aragonese.
Un castello adibito non solo a funzioni militari, ma anche a scopi residenziali, attorno ad esso essendosi generata la fitta tessitura di edifici di vario rango ed in esso avendo trovato dimora vari dignitari, a partire dalla sorella di Ruggero II il Normanno, Re di Sicilia.
Il flagello del 1783 fece implodere la città e creò due fiumare
Questa città letteralmente implose il 5 febbraio del 1783, insieme alla terra che la accoglieva, aprendo due enormi fenditure, ai piedi delle quali si formarono altrettante fiumare, il Baiasca ed il Tripuccio, che ancora oggi scorrono, a testimonianza di quelle ore drammatiche.
La Terza. La ragione devozionale del territorio, testimoniata dalla elevazione a diocesi sin dall’anno 1000 e da alcuni semi che l’hanno attraversata, unitamente alla vicina Triselico.
L’inizio fu, prima del terremoto, il rinvenimento di una sorprendente statua marmorea di ignoto, detta Madonna del Pilere (per via di un pilastrino sostenuto dal Bambino Gesù), nella spiaggia di Gioia Tauro, da cui venne traslata in direzione Oppido da una schiera di buoi.
Ebbene, giunti al confine tra Oppido e Triselico, le due popolazioni ebbero una disputa per il suo collocamento. Finchè non furono gli animali, in quel momento delle giovenche, a scegliere. E scelsero per entrambi, essendosi fermate al confine tra i due comuni. Da quel momento scaturì una devozione Mariana, che coinvolse così i fedeli di Triselico, come quelli di Oppido e che non ebbe arresto nemmeno a seguito del terribile ‘Flagello’.
La visione di Rosa Vorluni e la richiesta della Madonna

Qualche anno dopo, più o meno negli anni venti del diciannovesimo secolo, un’apparizione confermò la vocazione mariana del territorio. Una giovane donna di Triselico, Rosa Vorluni, nata nel 1799, proprio nei giorni della rivoluzione napoletana, mentre pregava in Chiesa al cospetto della statua della Madonna con bambino, ne sentì la voce e ne colse le sembianze. La voce della Madre chiedeva, semplicemente, di potersi sedere e restare lì, in Triselico.
Fu così che la mistica si adoperò, fece realizzare una nuova statua, questa volta seduta, e la fece collocare in Chiesa, al posto della precedente. Ebbene, quel tempio divenne luogo di invocazioni e grazie e venne successivamente elevato a rango di Santuario Mariano.
Quanto alla ‘vecchia’ Madonna, trovò posto nella vicina cappella-museo dedicata alla mistica Rosa Vorluni, dove fa mostra di sé unitamente alla splendida scultura marmorea di cui sopra si è detto.
Eccole, dunque, le storie segrete di Oppido e Triselico
Eccole, dunque, le storie segrete di Oppido e Triselico, ignote ai più, ma importanti per dare senso al luogo. Esse mi sono state raccontate da generosi appassionati del posto. A partire dal gestore di un bar, che mi ha mappato con precisione chirurgica i monumenti, a continuare con i ‘ragazzi’ dell’Associazione ‘Amici dell’orologio’ di Triselico, Paolo, Tommaso e Sabino, che prima mi hanno raccontato la torre dell’orologio, l’antico calvario, il monumento con vasca e la cronologia fotografica che fa mostra di sé. Poi mi hanno accompagnato dalla signora Mena, custode dei segreti che riguardano la mistica Rosa Vorluni e le storie devozionali che attorno si sono asserite, dalla quale ho ricevuto l’omaggio di una preziosa pubblicazione.
C’è molto di più di quanto non si veda e molto di più di quanto non sia stato, sino ad oggi, rivelato. Credo occorreranno altre campagne di scavo per mettere in luce tutti i resti della antica Oppidum, capire meglio il popolo dei Mamertini e svelare i legami con il dio Marte, divinità della guerra, da cui sembra aver assunto la denominazione. Ed occorreranno anni di consapevolezze, perché queste bellezze escano dal loro oblio e divengano patrimonio di tutti.
Due gemme da conoscere e visitare nel cuore dell’Aspromonte

A me rimane la sensazione emozionale di un luogo distante dalle rotte usuali.Un luogo in cui si ritrovano i segni di una antica centralità. E di un passaggio che, dal cuore dell’odierna città, porta ad Oppida Vecchia, che si incunea tra le tormente di pareti aspromontane, fino a congiungersi, contornata da migliaia di lussuosi alberi di ulivo, alla porta di accesso all’antica città ed alle sue rovine.
Lì è il regno della solitudine e del silenzio. Nessuna presenza umana, solo lo sciabordio del piccolo vento ed il cinguettare vivace di migliaia di uccelli, resi liberi dalla calda primavera. E poi, a destra e sinistra, la teoria di ruderi senza forma e senza voce, cumuli di macerie rimaste intonse nei secoli, al culmine dei quali si staglia, come un’ennesima apparizione, il castello, ferito mortalmente ma, unico tra i tanti edifici, ancora in piedi. Oppido Mamertina e Triselico, due gemme nel cuore della città metropolitana di Reggio Calabria, da conoscere e visitare.