Vedere e gustare

San Marco Argentano, un segno di antica bellezza nel cuore della Valle del Crati

Uno dei più grandi scrittori di ogni tempo, il russo Fedor Dostoevsckij, fece dire ad uno dei personaggi del suo capolavoro, l’Idiota: “La bellezza salverà il mondo”. Quasi come un contrappasso, un diverso ‘idiota’, anche lui russo, sta provando a distruggere la bellezza del mondo, usando le armi dell’inganno e del dolore. E’ per questo che credo sia utile non desistere e continuare a parlare di bellezza, sperando che possa aiutare a sfogliare le pagine, non sempre chiare, della verità.

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Lasciando l’Autostrada Mediterranea all’altezza di Tarsia, proprio dove il memoriale di Ferramonti ricorda le vittime della deportazione nazi-fascista, è possibile risalire la valle del Crati e, dopo qualche chilometro, raggiungere le colline che portano a San Marco Argentano, in provincia di Cosenza. Qualche chilometro prima del borgo, ecco una prima sorpresa: l’Abbazia benedettina, poi cistercense, di Santa Maria della Matina, costruita da Roberto il Guiscardo e dalla seconda moglie Sichelgaita, su richiesta di Papa Nicolò II, nell’XI secolo. Un edificio importante, sintesi dell’intesa che corse tra il Papato ed i Normanni per la conversione cattolica dei territori del sud, dopo 500 anni di dominio bizantino ed ortodosso.

Oggi, del sacro maniero rimane poco, la sala capitolare, un po’ del refettorio, tracce dirute del chiostro. Per il resto è incluso in una teoria di edifici di epoche successive, che la rendono invisibile. Lasciata l’Abbazia, dopo pochi chilometri si raggiunge San Marco Argentano, già presente nella scena della storia sin dai tempi di Annibale, come racconta Tito Livio, ma poi svanita nell’oblio. A Roberto d’Hauteville si deve il reimpianto del borgo, sorto attorno alla magnifica torre circolare, che Roberto volle realizzare per sorvegliare l’intera valle del Crati e le lunghe propaggini del Pollino, da est ad ovest. La torre si presenta possente, sontuosa, leggermente merlata al culmine, come fosse sormontata da una corona regale. Alla base, un fossato che la ingloba e la isola, non fosse per il ponte sospeso che la raccorda alla terraferma.

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Dalla torre si apre la via verso il centro, che si presenta con il duecentesco complesso monastico di Sant’Antonio o dei Riformati, culminante nella bellissima Chiesa della Riforma, dalla facciata tardo romanica, dotata di una bellissimo antiportico e di un interno rivisitato secondo il gusto barocco. Qui San Francesco di Paola ebbe il suo noviziato e qui si schiusero le porte per il suo cammino taumaturgico.Dal convento, a pochi passi, si apre la villa comunale, il cui interno ospita la Cappella della Benedetta, del XVIII secolo, che racchiude la grotta dove San Francesco soleva ritirarsi in preghiera. Discendendo, si giunge alla chiesa di Santo Marco, del XVIII secolo e, di lato, all’antichissima fontana a quattro cannelle dedicata alla moglie di Roberto, Sichelgaita, contornata da interessanti bassorilievi.

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Superata la piazza, nella quale confluiscono deliziosi palazzi gentilizi, ci si imbatte prima nel convento dedicato a San Francesco, con annessa chiesa del XVIII secolo, quindi nella cattedrale dedicata a San Nicola di Mirya, edificata nell’XI secolo dai Normanni e profondamente rimaneggiata a seguito dei ripetuti terremoti. Da lì si osserva un panorama magnifico, con la linea del Pollino che si stende, innevata, dallo Jonio sino alle propaggini che guardano il Tirreno. Oggi l’edificio si presenta come un tempio in stile neo romanico, con tre navate, sul cui soffitto, a volta, è possibile apprezzare un magnifico cielo azzurro, punteggiato di stelle.Ma la vera sorpresa, un autentico capolavoro, è invisibile ad un primo sguardo. E’ la cripta, cui si accede dall’esterno, che accoglie il visitatore con la sua accecante ed imprevista oscurità. Si tratta di un crogiuolo di archi possenti e densi, che si rincorrono, si incrociano, si intersecano secondo composizioni policrome e forme irregolari e danno vita a piccole navate ogivali, al cui culmine vi è sempre un sacrario.

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Un frastuono di bellezza ed armonia, di sobrietà ed altezza, rimasta intatta per un intero millennio ed oggi restituita al culto dei fedeli, dopo gli anni che ne fecero il cimitero dei vescovi. Se ne esce con ritrosia, accompagnati dallo sguardo benedicente di San Francesco di Paola, la cui statua troneggia proprio all’ingresso. All’uscita, l’edificio che ospita la curia vescovile, una delle più antiche d’Europa, risalente al tempo del Guiscardo, uomo simbolo, insieme a San Francesco, della città. Ne fa testimonianza il busto, posato a latere della torre, nel quale Roberto appare insieme distante, paterno e regale. Un posto interessante, San Marco Argentano, nel quale le testimonianze antiche si connettono, senza particolari stridori, con quelle moderne e si stendono, unite, sulla memoria collettiva, come si evince dalla “partita del re”, una sfida a scacchi giocata ogni anno in costumi d’epoca per ricordare il passato normanno e le battaglie che ne furono lo sfondo.