Vedere e gustare

Verzino, nell’alto crotonese, terra di grotte e colture di primo livello

VERZINO – Verzino sorge in una Calabria distante, nella zona più ad ovest dell’Alto Crotonese. A ridosso della grande Sila da un lato e, dall’altro, dei deserti di gesso e sabbia che connotano il “Marchesato”, da Caccuri a Pallagorio, da Cerenzia ad Umbriatico. Si tratta di un territorio bellissimo ed aspro, interessato da una biodiversità orografica eccezionale, che propone, insieme ad un complesso sistema di dune desertiche, spettacolari colline argillose, vallate profonde, stupendi calanchi di arenaria.

Ed una biodiversità climatica ed idrografica che consente colture di primissimo livello, dagli uliveti, ai vigneti, dagli ortaggi ai frutteti. Insomma, una sorta di Palestina in terra europea, di tale intensità da essere stata prescelta quale fondale per importanti film d’ambiente. E tuttavia, Verzino non è solo quel che si vede. E’, soprattutto, quel che non si vede. Nel sottosuolo, difatti, la presenza di profondi strati di gesso ha facilitato il fenomeno delle erosioni carsiche, grazie alle quali si sono formate profonde grotte ipogee che si estendono, per quanto è stato possibile rilevare sino ad oggi, per lunghi chilometri, formando un reticolo di cavità tra i più imponenti ed affascinanti d’Europa.

insediamenti rupestri resi possibili dalla friabilità della roccia

Fatto sta che il Marchesato divenne centro, sin dall’antichità, di culture e civiltà stanziali che, oltre gli insediamenti autoctoni, avvertì i riverberi delle varie ellenizzazioni, con cui fu chiamata a confrontarsi. In un contesto orografico di tale particolarità, sin dall’antichità trovarono posto diffusi insediamenti rupestri, resi possibili dalla friabilità dei sedimenti di roccia e dalla possibilità, per l’uomo, di scavarla per trasformarla in ambienti vivibili.
Il luogo forse centrale, in questo senso, è proprio Verzino, comunità che sorge a meno di 600 metri s.l.m., in cui, già in epoca precristiana, venne scavato un vasto insediamento rupestre, articolato su ben quattro livelli, che ha trovato posto sull’intero fianco della rupe che oggi ospita il paese.
Si tratta di grotte che presentano differenti livelli di complessità costruttiva, alcune isolate, altre collegate in orizzontale e divise da bellissime pareti che quasi alludono alle navate di una chiesa, alcune connesse tra livelli differenti, altre destinate ad uso animale o di solo magazzino.

Gli ambienti sono di vario tagli, con cavità talora appena capaci di ospitare un essere umano, in altri casi ampiamente utili a riceverne a decine. Il tutto, in una prospettiva che dovette essere, inizialmente, di uso residenziale ed agricolo, come testimoniano le varie traforazioni, interpretate come funzionali al deposito di derrate, utensili o alla creazione di ambienti verticali.

Da abitazione a luogo di meditazione con i monaci bizantini

Nel seguito, l’insediamento dovette trasformarsi in luogo di meditazione, con l’insediamento di monaci bizantini provenienti dall’est, che trasformarono le cavità in ‘laure’ o celle di preghiera, nel lungo periodo, circa 500 anni, in cui la Calabria fu centro di religiosità orientale. Così, attraverso le grotte rupestri, Verzino può dedurre e decifrare frammenti importanti della sua storia, seguendone il corso e l’evoluzione.

Al netto delle indicazioni leggendarie, che la vogliono fondata da Filottete, personaggio mitologico più che storico, Verzino è testimoniata precisamente da Strabone, che ne parla, anche alludendo al toponimo, nel libro V della “Geografia”, dunque nel primo secolo avanti Cristo. Il che fa desumere che preesistesse, appunto grazie all’arte della lavorazione dei sedimenti di arenaria, che la rese una patria stabile per le popolazioni migranti.

Lo sguardo dal basso dell’insediamento è dolcemente impressionante. Esso disegna una sorta di parabola orizzontale, da un fianco all’altro della rupe, spiegata su quattro livelli, tutti punteggiati da cavità parallele. Risalendone il corso, si osservano grotte di fattura eccelsa, con i segni dello scavo ancora ben tracciati. Al centro, in posizione mediana, un ambiente più grande e profondo, nella cui ideale abside, sembra intravedersi lo stigma di un Cristo in croce, ricavato da una sorta di albero della vita e, alla sua destra, la figura diafana di una Madre. Suggestione, certo. Ma quell’ambiente ben potrebbe essere interpretato come il centro spirituale della comunità monastica.
Poi, una teoria di grotte in cui si rivelano i segni dell’uso umano: fori nelle pareti per infiggere travi su cui ancorare piani di calpestio, basi per la costruzione di mensole, anfratti negli anfratti, per ricavarne vani in cui depositare derrate o deporre utensili.
Lasciato il suggestivo sito rupestre, basta poco per raggiungere il centro di Verzino ed annotare il bellissimo palazzo ducale, già palazzo Cortese, del XVII secolo, perfettamente conservato nelle sue facciate esterne ed oggi sede del municipio. L’ingresso è costituito da una sorta di galleria con soffitto in pietra a botte.

Esso introduce nell’atrio rettangolare, sul quale affacciano gli ambienti che furono nobiliari e da cui si risale verso i piani superiori. Qui, giovani amministratori si prodigano a rendere tutte le spiegazioni possibili e mettono in contatto con l’Associazione “Le grave”, che si occupa dei siti ipogei del territorio, facendone ricerca, esplorazione, mappatura e connessione. La sede dell’associazione speleologica è uno scrigno di passione vera e finisce per essere un piccolo museo. Franco Mascaro, lo speleologo che ci accoglie, racconta, con una passione contagiosa, di un mondo sotterraneo che nasconde tesori inestimabili ed ancora non del tutto rivelati.

Sulla strada di ritorno: Caccuri, San Giovanni in Fiore e Spezzano

Sulla strada di ritorno – che, pena l’esclusione sociale di quei territori, andrebbe largamente migliorata – altre comunità rupestri, tra cui quella di Caccuri. Qui sorprende, all’ingresso, una splendida ‘meteora’ verticale, proprio a ridosso della rupe che ospita l’antico castello bizantino edificato sin dal VI secolo ed il reticolo medievale che vi fiorisce attorno. Poi, due brevi soste. La prima a San Giovanni in Fiore, ad onorare l’austera e commovente Abbazia Florense del teologo Gioacchino Da Fiore, che Dante colloca in Paradiso, nel cielo del Sole, tra gli spiriti sapienti: “…e lucemi da lato/ il calavrese abate Giovacchino/ di spirito profetico dotato” (Paradiso, XII, 139.141). La seconda a Spezzano della Sila, dove protende le sue luci il terzo dei quattro conventi fondati personalmente da San Francesco di Paola, insieme a quelli di Paola, Paterno e Corigliano Calabro. Si tratta di un centro realizzato nel 1474, nel quale la navata della chiesa, oggi barocca, convive con la sobria ed austera eleganza del chiostro, delle celle e di una sagrestia in finissimo legno intarsiato, nella quale sono custodite preziose reliquie del Santo. Alla fine, saranno sei ore di viaggio. Utili per certificare la complessità della nostra regione, ma anche la difficile ed affascinante lotta dell’uomo per affrancarsi dal bisogno, vincere il dolore e provare a dare un senso al suo essere nel mondo.